Una piccola storia a due voci
“Papà mi sono fidanzata!”. È la prima volta che mi confido con lui sull’argomento “amore e dintorni” e sono veramente imbarazzata, ma ho trovato l’uomo della mia vita e proprio devo comunicarlo. Ma torniamo alla telefonata.
Mio padre: “ Ma davvero! E chi è?”. Sarà imbarazzato anche lui?
Io: “Si chiama Ivan, è serbo!”. Ecco, l’ho detto.
E lui: “ Ma è un rom? Vengono tutti da lì! Sicura che non ha le collane d’oro e roba simile?”
E io: “ Beh… no papà!”. Come inizio non mi sembra molto promettente. Ma in qualche modo la telefonata continua e dall’altro capo del filo mi sembra di avvertire un impercettibile allentamento della tensione.
“Ah, va bene… allora raccontami tutto!”.
Ecco, a questa richiesta avrei dovuto essere preparata. Ma come si fanno a raccontare certe cose? Da dove cominciare? In realtà la questione è semplice: ho trovato l’uomo della mia vita. Già questa è una notizia, no?
L’importanza dell’evento mi aveva addirittura spinto a studiare una tattica per conquistarlo, cosa che non avevo mai neanche immaginato di poter fare prima. Al cuore non si comanda, non dicono tutti così? Posso dire, a mia discolpa, che le circostanze in cui ci siamo conosciuti certamente non aiutavano: ero la sua insegnante di italiano! Nella mia testa due pensieri fissi: “wow, quest’uomo lo sposo” e “ non è possibile, toglitelo dalla testa, non si può fare confusione tra sentimenti e lavoro”. Ma per quanto mi sforzassi non sono riuscita a fare altro che sciogliermi ogni volta che mi guardava, o diventare di un bel rosso acceso quando mi faceva una domanda. Credo che tutti gli altri miei alunni lo avessero capito e questo non andava per niente bene. Non era facile gestire in modo professionale le risatine delle mie alunne congolesi, lo sguardo inquisitorio dell’uomo libanese e le occhiate complici della coppia colombiana…
La prima volta che l’ho incontrata ero da un quarto d’ora in attesa che arrivasse l’insegnante di italiano, nella scuola che frequentavo e con la classe eravamo pronti ad andare via quando è arrivata lei, tutta rossa in viso e affannata. Immagino avesse corso molto… Era una supplente e non sapeva da dove cominciare con la lezione, non ci conosceva e non sapeva a che livello eravamo con la lingua. In qualche modo è riuscita ad iniziare e devo dire che ci ha fatto davvero divertire tutti: ci insegnava i nomi degli attrezzi da lavoro con i disegnini, ma lei stessa ne conosceva pochi e cercava di far finta di niente con dei grossi sorrisi, sperando che li conoscessimo noi. Io mi divertivo molto a farle delle domande difficili per potermi gustare le sue scenette e le sue espressioni che facevano tenerezza … insomma è stato uno spasso.
Successivamente è diventata la mia insegnante e devo dire che mi ha rapito il suo modo di affrontare le situazioni, i suoi sguardi quando non riusciva a tenere sotto controllo la situazione e cercava nei miei occhi un aiuto, sperando che le facessi da assistente quando non riusciva a spiegare una cosa. Io a volte la aiutavo e a volte mi divertivo a metterla in difficoltà con delle domande impossibili, tipo: quando si usa il verbo transitivo o intransitivo? E gli ausiliari? Lei mi guardava e mi diceva, tutta rossa: “boh”! A volte ero proprio cattivo.
La soluzione logica era una sola: non potendo (per fortuna) smettere di vederlo, era necessario almeno incontrarsi fuori dalla classe, in una situazione diversa. Ma quello che in circostanze normali sarebbe stato relativamente semplice, diventava molto complicato nel caso di Ivan. Mi trovavo infatti ad essere l’insegnante di italiano di un gruppo di stranieri arrivati in Italia non per studio o per turismo, ma per chiedere asilo politico. I locali dove tenevo le lezioni, unico luogo di incontro per noi, per lui erano allo stesso tempo scuola, mensa, ambulatorio: in poche parole, l’unico punto di riferimento. Non mi sono persa d’animo e alla fine, dopo qualche tentativo fallito, sono riuscita ad invitare lui e un amico a fare una passeggiata insieme, in amicizia.
Non capivo, allora, perché a volte sembrava interessato a me ed altre completamente assente, lontano, indifferente… Avrei dovuto saperlo da subito: quando, molto più tardi, l’ho capito, mi sono sentita così sciocca! Io pensavo solo a lui, a quanto mi piaceva, mentre lui pensava alla vita così precaria che gli si presentava davanti. Non un lavoro, a parte l’ancora di salvataggio della distribuzione dei giornali gratuiti all’alba, che ha aiutato molti (me compresa); non una casa, ma un posto che offriva ospitalità soltanto la sera, ricacciandoti per strada la mattina seguente. Ma, soprattutto, niente soldi in tasca! Non si può invitare una ragazza ad uscire senza poterle offrire nulla.
Ci vedevamo tutti i giorni a scuola ed era diventato un piacere seguire le lezioni. Mi sembrava che lei arrossisse a volte, quando la guardavo. Quanto a me, mi aveva già conquistato. La prima volta che ci siamo visti fuori dalla scuola e abbiamo avuto modo di conoscerci meglio mi sembrava di camminare sulle nuvole, mi sentivo euforico come un adolescente e felice di averla incontrata. Avevo quasi dimenticato il motivo per cui ero lì, o forse il motivo c’era… incontrarla!
Allora mi è sembrato più accettabile tutto: aver passato una settimana, appena arrivato a Roma, in cui non sapevo che fare, dove andare, senza un posto dove dormire se non i binari della stazione. Mi ricordo che passavo le giornate camminando in giro per la città senza la possibilità di comunicare con nessuno, e cantavo da solo per la disperazione. L’unica cosa che desideravo in quei momenti era poter chiamare la mia famiglia e farmi aiutare per tornare a casa. Non mi importava più nulla di quello che mi sarebbe successo lì, volevo solo rivederli… ma non avevo neanche i soldi per telefonare.
Per fortuna alla fine sono riuscita a smuoverlo (che imbarazzo)! Da subito siamo stati una cosa sola e mi ha conquistato, tra le tante sue qualità, la sua dolcezza e la sua educazione, il rispetto e l’attaccamento alla sua famiglia. Il primo giorno da fidanzati ha raccontato tutto a sua sorella, poi a sua madre e via via a tutto il resto della famiglia e mi ha fatto sentire da subito amata da tutti.
Ricordo sempre con un certo imbarazzo la prima volta che ho parlato al telefono con sua madre. Avevo studiato due settimane gli auguri di buon Natale e buon anno da farle in serbo, ripetevo le due frasi che avevo imparato in continuazione e alla fine, prima del momento fatidico, per essere più sicura avevo scritto tutto su un foglietto per evitare di sbagliare… Ovviamente mi sono confusa, mi sono fatta prendere dal panico, mi sono bloccata e non sono riuscita più a proseguire. In fondo non ero partita male: mi erano rimasti solo i saluti e “non vedo l’ora di conoscerla”, invece lei mi ha parlato quando non me lo aspettavo e…PANICO! Ivan rideva, ma a me veniva da piangere! E va bene… è serbo, è normale che mi sono trovata in difficoltà. Ma che dire della telefonata in inglese con sua sorella? In quell’occasione ho sfoggiato il meglio delle mie conoscenze linguistiche… ed è stato uno sfacelo. Ho pensato che probabilmente non avrebbero voluto più conoscermi. Il telefono di Ivan squillava e lui non c’era: ho pensato bene di rispondere io e una voce straniera mi ha parlato in modo incomprensibile. Io ho farneticato qualcosa del tipo “ah… mhmh… no Ivan no”, fin quando lei mi ha detto il suo nome. Allora il mio viso si è illuminato: ero così felice di parlare con la sorella di cui lui mi aveva parlato tanto. Avrei voluto dirle tante cose… Sì, ma cosa, esattamente? E soprattutto, come? Nel dubbio, mi sono limitata a ripetere il suo nome, con un grosso punto esclamativo pieno di gioia e nello stesso tempo meraviglia…
Realizzando poi che le telefonate dalla Serbia costano, con uno sforzo supremo ho tentato di dare dei contenuti alla nostra conversazione. Una luce si è accesa nella mia mente in panne. “Ivan is not here!” Immagino che lei l’avesse già capito e mi ha detto di lasciargli un messaggio salutandomi calorosamente e io “ciao… ciao…ciao”, con un sorriso da ebete! Povera me… per fortuna che sono stati tutti carini e comprensivi con me, Ivan innanzitutto…e beh, è l’uomo della mia vita! E lui, questa storia, come la racconterebbe?
Da quando ho incontrato “lei” ho iniziato ad apprezzare anche la mia vita precaria per le strade di Roma. Ho visto infatti che anche lei viveva secondo orari simili ai miei e che le sue giornate non erano tanto diverse: si svegliava all’alba per distribuire i giornali, andava all’università e poi perdeva tempo a zonzo per la città in attesa che iniziassero le lezioni di italiano. Anche lei si guadagnava da vivere con fatica e sacrifici. Insomma, mi poteva capire. Così ci siamo trovati insieme a bere un cappuccino al bar della stazione, o a sonnecchiare sul prato vicino alla scuola. Ero felice… e lo sono ancora perché è la mia amica e il mio amore e presto diventerà mia moglie.
lacrimuccia 😥 😥 🙂
Cavoli … ragazzi … è bellissimo !!
Auguri a tutti e due !!
lacrimoni :cry::cry::cry:
Carissimi c’è poco da rattristarsi, noi siamo felicissimi. Se quello era il percorso necessario per incontrarci io lo rifarei senza pensarci due volte.
Saluti a tutti.:razz:
Ma la lacrima nasceva dall’emozione per la vostra bellissima storia, mica perché siamo tristi!
Grazie… 😳
ecco perchè mi piace insegnare ai serbi:mrgreen: ma il mio serbo io l’ho trovato in rete…
ma complimenti… io non ho fatto la lacrimuccia.. ho pianto a dirotto…
vi faccio gli auguri piu’ belli dell’universo e spero che il primo parto siano 3 bellissimi gemellini… magari anche solo 2.. un bimbo e una bimba !!!
lina